Cassazione Sezione Unite, 11 gennaio 2008.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 27.10.1999, 223 attori convenivano davanti al tribunale di Roma il Ministero della Sanità , chiedendone la condanna al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, ai sensi degli artt. 2043, 2049 e 2050 c.c. per non avere evitato che agli attori o ai loro danti causa, che necessitavano per patologie congenite di continue trasfusioni, venissero somministrati prodotti emoderivati senza i necessari controlli, per cui questi contraevano varie affezioni, quali HIV, HBV ed HCV, alle quali a distanza di alcuni anni in alcuni casi seguiva la morte.
Intervenivano in giudizio anche altri soggetti che assumevano anch’essi di aver contratto il contagio e di avere diritto al risarcimento del danno.
Il Tribunale accoglieva la domanda di condanna generica al risarcimento del danno. L’appello proposto dal Ministero veniva rigettato dalla corte di appello di Roma, con sentenza depositata il 12.1.2004.
Riteneva la corte territoriale che l’eccezione di prescrizione era infondata, in quanto a norma dell’art. 2935 c.c. il diritto può essere esercitato solo allorché il titolare abbia raggiunto la piena cognizione dell’esistenza e del fondamento del medesimo, ed individuando il dies a quo nel momento del rilascio delle certificazioni relative all’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 da parte delle Commissioni medico ospedaliere. Riteneva la corte di merito che il termine di prescrizione era decennale, trattandosi di fattispecie di reati di epidemia colposa, lesioni colpose plurime e di omicidio colposo. Nel merito riteneva la corte che, trattandosi di accertamento del solo an debeatur non era necessario valutare la prescrizione in relazione alle singole posizioni, attenendo tale valutazione al successivo giudizio di liquidazione dei danni, mentre risultava accertata la riconducibilità degli eventi dannosi alla responsabilità dell’amministrazione per essere gli stessi stat i causati da emotrasfusione o assunzione di emoderivati con sangue infetto, come riconosciuto dallo stesso Ministero che aveva erogato l’indennità di cui alla legge n. 210 del 1992.
Riteneva poi il giudice di appello che l’Amministrazione era in possesso delle fin dagli anni “˜70 di elementi di studio e di ricerca tali da consentire di individuare almeno il virus dell’epatite B e quindi da rendere obbligatoria l’adozione di misure di prevenzione. La corte riconosceva, inoltre, agli attori anche il diritto al risarcimento del danno morale. Nelle more interveniva una transazione tra il Ministero e gran parte degli attori. Il Ministero della salute impugnava la sentenza della corte di appello nei confronti dei soggetti con cui non aveva transatto la lite e cioè: “¦vari”¦.
I predetti intimati, ad eccezione degli ultimi tre, resistevano con controricorso; essi hanno presentato anche memoria.