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risarcimento da sangue infetto

Assistenza giudiziaria per ottenere il risarcimento in caso di prescrizione, trasfusioni di sangue infetto anni ’60 – anni ’90, smarrimento delle cartelle cliniche e schede trasfusionali, cumulo con l’indennizzo, sentenze di rigetto passate in giudicato, negativizzazione virale, danni ai familiari, danno psichico.

Nei casi di risarcimento da sangue infetto, ad integrazione della responsabilità extracontrattuale soccorre e concorre la responsabilità contrattuale del Ministero della Salute. Infatti, trattandosi di eventi trasfusionali dell’ottobre-novembre 1970 e del settembre 1978 (quelli dedotti in giudizio) e quindi di epoca anteriore al D.lg. n. 502 del 30.12.92 (Riordino della disciplina in materia sanitaria), occorre osservare che precedentemente al suindicato provvedimento legislativo, gli enti ospedalieri erano organicamente inseriti nelle USL (Unità Sanitarie Locali) che non erano dotate di autonomia patrimoniale né giuridica, ma organicamente integrate nel Servizio Sanitario Nazionale, al cui vertice c’era il Ministero della Sanità. Invero, l’art. 1, legge n. 296 del 13.03.58 (Costituzione del Ministero della Sanità), attribuiva al costituito dicastero il compito di “…provvedere alla tutela della salute pubblica…” con le attribuzioni di “…provvedere ai servizi sanitari attribuiti dalle leggi alle Amministrazioni civili dello Stato…sovraintendere ai servizi sanitari svolti dalle Amministrazioni autonome dello Stato e dagli Enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento, eventualmente necessario, per adeguare l’organizzazione e l’efficienza dei servizi stessi alle esigenze della salute pubblica…emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le Amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari…provvedere alla vigilanza tecnica sulle organizzazioni, enti e istituti che svolgano attività sanitaria…”. Nel successivo art. 5, la legge n. 296/1958 si precisava che “…sono sottoposti a vigilanza e tutela del Ministero della sanità, in conformità alle leggi vigenti, tutti gli enti a carattere nazionale che svolgono esclusivamente o prevalentemente compiti di assistenza sanitaria…Il Ministero della sanità concorre alla vigilanza degli stessi limitatamente all’organizzazione ed alle attività sanitarie ed all’uopo può promuovere inchieste ed ispezioni facendovi partecipare anche propri impiegati e può chiedere tutte le informazioni, attinenti ai servizi di competenza, che ritenga necessarie…”. La successiva legge n. 592/1967 (Raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano), abrogata solo con la legge n. 107/1990, attribuiva laspecifica competenza in ambito trasfusionale al Ministero della Sanità precisando, all’art. 1, che esso “…emana le direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti la raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale nonché la preparazione dei suoi derivati e ne esercita la vigilanza…”. 

La suindicata legge n. 592/1967 unitamente al D.P.R. n. 1256/1971 (Regolamento per l’esecuzione della L. 14 luglio 1967, n. 592, concernente la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano) riferiscono inequivocabilmente che i centri trasfusionali erano sottoposti al potere gerarchico del Ministero della Sanità. 

La dipendenza di tali centri trasfusionali dal dicastero venne successivamente confermata con la legge n. 833/1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale), che all’art. 6, lettera c, afferma che : “…sono di competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti:…c) la produzione, la registrazione, la ricerca, la sperimentazione, il commercio e l’informazione concernenti i prodotti chimici usati in medicina, i preparati farmaceutici, i preparati galenici, le specialità medicinali, i vaccini, gli immunomodulatori cellulari e virali, i sieri, le anatossine e i prodotti assimilati, gli emoderivati, i presidi sanitari e medico-chirurgici ed i prodotti assimilati anche per uso veterinario…”. Inoltre che “…con legge dello Stato sono dettate norme dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale e stabilite le relative sanzioni penali, particolarmente in materia di:…6) raccolta, frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue umano…” (art. 4, sub. 6). 

Quanto sopra con la precisazione dell’art. 5: “…il Ministro della Sanità esercita la competenza attribuitagli dalla presente legge ed emana le direttive concernenti le attività delegate alle Regioni…”. Anche la legge n. 107/1990 (Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati) e la copiosa normativa di attuazione ribadivano le suindicate competenze del Ministero della Sanità. 

Soccorre, in ultimo, la Costituzione che in proposito all’art. 28 stabilisce che “…i funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti pubblici…”. 

Quanto sopra si precisa al fine di evidenziare che il Ministero della Salute risponde, oltre che per responsabilità extracontrattuale, anche per quella contrattuale dei danni patiti dai soggetti trasfusi con sangue infetto (ivi compreso il congiunto deceduto degli attori), in quanto nell’epoca antecedente alla costituzione delle aziende sanitarie locali (attuata con il D.lg. n. 502 del 30.12.92) le allora unità sanitarie locali (c.d. U.s.l.) non erano dotate di autonomia patrimoniale né giuridica. 

Ne discende, quindi, che in forza del rapporto di compenetrazione organica che legava le Usl al Ministero della Sanità, quest’ultimo risponde dei fatti colposi e/o dolosi commessi e/o omessi dal personale e/o strutture ad esso dipendenti nonché ai sensi dell’art. 1228 c.c. del fatto colposo o doloso dei propri ausiliari, che abbiano provocato, come hanno provocato, all’attore gravissimi danni post- trasfusionali. 

Sul punto si veda Cass. 9346/2002 in ipotesi similari nonché la giurisprudenza di merito secondo cui il Ministero della Salute è gravato “ . . . s o t t o i l duplice profilo della responsabilità contrattuale, conseguente all’inadempimento del SSNN rispetto alla prestazione sanitaria corretta dovuta al cittadino in virtù della l. 833 del 23.12.78 e della responsabilità aquiliana, in violazione di un principio generale di neminem laedere. Sul punto deve chiarirsi che la suddetta ‘binarietà’ è pienamente ammissibile, per giurisprudenza costante, tutte le volte in cui un medesimo fatto violi contemporaneamente sia i diritti spettanti alla persona, indipendentemente da un rapporto giuridico preesistente, che quelli derivanti da un contratto. Ed allora la pretesa del danneggiato trova la sua fonte sia nel principio generale del neminem laedere che in quest’ultimo, cosicché se viene meno una delle due azioni, per esempio per il maturarsi della prescrizione, la domanda sarà valutabile secondo l’altro schema…” (Trib. Napoli, 22.06.2001). 

Ed ancora con Sentenza n. 3873 del 25.03.08, il Tribunale di Milano ha qualificato la responsabilità del Ministero della Salute, in ambito di danni post-trasfusionali, come contrattuale (ad integrazione di quella extracontrattuale) segnatamente per violazione degli obblighi di vigilanza sul sistema sangue e per inadempimento del debitore qualificato alle obbligazioni di cui all’art. 1176 c.c. 

Fra i problemi più diffusi che il soggetto danneggiato deve affrontare nel corso di una causa di risarcimento da sangue infetto vi è quello di documentare l’avventura trasfusione.

La prova dell’evento trasfusionale (generalmente remoto) è infatti dato dalla cartella clinica con l’indicazione dell’avvenuta somministrazione di

sangue e dalla scheda del donatore di sangue prevista espressamente dagli artt. 16 e 17 della Legge n. 592/1967 (che disciplinano rispettivamente donatore di sangue a titolo gratuito e la più inquietante figura del datore professionale: ovvero di colui che donava il sangue dietro compenso è che solo la successiva legge n. 107/1990 aveva poi cancellato).

La cartella clinica in particolare documenta, non solo l’avvenuta trasfusione che si assume come infetto ma anche che al momento dell’ingresso in ospedale il paziente non era affetto da quell’infezione che successivamente si è manifestata (HbsAg e transaminasi).

La scheda del donatore o del datore di sangue può invece diventare la prova dirimente dell’avvenuto contagio in quanto detta scheda documenta l’attività di donazione di colui che ha ceduto il sangue e quindi anche i suoi dati anamnestici (posteriori alla trasfusione incriminata in giudizio) che possono rilevare se successivamente il donatore sia poi risultato positivo allo stesso virus contratto dal paziente ricevente che agisce per il risarcimento del danno.

E’ facile comprendere quanto sia importante per il danneggiato poter accedere a questa documentazione ai fini della prova dei fatti dedotti in giudizio.

Tuttavia, a distanza di decenni non è del tutto agevole recuperare detta documentazione passata dai reparti di degenza agli archivi ospedalieri.

Peraltro, soprattutto in epoca risalente mancavano (sia per la cartella clinica che per le schede dei donatori di sangue) norme specifiche che indicassero i tempi di conservazione.

Pertanto in mancanza di una normativa ad hoc sulla conservazione dei documenti sanitari si ritiene applicabile al caso la più generale normativa del D.P.R. n. 1409/1963 che al tempo disciplinava l’obbligo di conservazione dei documenti pubblici (a cui sicuramente appartengono le cartelle cliniche e le schede dei donatori).

In forza di tale disposizioni, l’art. 30 del DPR stabiliva che la documentazione doveva restare conservata per almeno 40 anni.

Successiva normativa cons. Illimitato: A) Cartella. Circ. Min. n. 61/1986, B) Scheda. DM 2001. UE 15 anni

La successiva normativa sulla conservazione della documentazione sanitaria ha disposto che in relazione

1) in relazione alla cartella clinica, essa deve essere conservata a tempo illimitato in forza della Circolare del Ministero della Sanità Direzione Generale Ospedali Div. II. Circolare n. 61 del 19 dicembre 1986),

2) in relazione alle schede dei donatori e alla loro tracciabilita’ e proprio a seguito degli eventi drammatici dello “Scandalo del sangue infetto”

– Prima il Legislatore Europeo aveva emanato la Direttiva 2002/98/CE che

prevedeva la registrazione e conservazione dei dati dei donatori siano per

almeno 15 anni.

– Dopo il Ministero della Salute italiano si è mosso con anticipo e maggior

virtù, stabilendo con D.M. 26 gennaio 2001 dettagliate norme sulla tracciabilità del sangue e l’obbligo di conservazione dei dati trasfusionali tempo illimitato.

Pertanto (anche partire da metà degli ani ’60 in cui vigeva l’obbligo di conservazione di 40 anni e) sovrapponendo questi 40 anni con i tempi di conservazione illimitata della documentazione sanitaria (dal 1986 per la cartella clinica e dal 2001 per le schede dei donatori) è chiaro che tutta la documentazione sanitaria (necessaria per provare in giudizio la pretesa risarcitorie per trasfusioni di sangue infetto) deve essere messa a disposizione del soggetto danneggiato da parte delle strutture sanitarie.

Cosa accade allora se la cartella clinica e la scheda dei donatori viene smarrita o distrutta dalla strutturata sanitaria che la conserva e custodisce unitamente all’obbligo di rilasciarne copia?

Su chi ricade il pregiudizio probatorio dato della perdita della prova?

Certamente non sul paziente poiché le SS.UU. del 2008 (la n. 577 in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e la n. 582 in tema di responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute) hanno definitivamente cristallizzato il preesistente principio cd. della “vicinanza della prova”.

Tale principio (delineato già prima delle SS.UU. del gennaio 2008) consiste in una regola di recente elaborazione giurisprudenziale che ricorre tutte le volte in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da dimostrare avrebbe potuto essere invocato, (come ad esempio nel caso di perdita, mancanza o insufficienza di dati in un documento, quale la cartella clinica).

Tuttavia mentre

A) nel caso di responsabilità medica di natura contrattuale (la perdita o lo smarrimento della documentazione necessaria per la prova delle trasfusioni e della qualità del sangue donato) è sintomo di grave inadempimento che conduce alla prova di quanto allegato dal soggetto danneggiato da contagio;

B) nel caso di responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute la prova si intende raggiunta per presunzioni (data l’impossibilità dell’attore di provare i fatti da lui allegati per colpa del Ministero della Salute che anche in tema di conservazione della documentazione trasfusionale svolge un potere/dovere di vigilanza).

Non v’è persona sensata che, prima di sottoporsi a cure mediche, non si informi sui trattamenti sanitari che gli verranno praticati, sui loro benefici e, non ultimi, sugli eventuali rischi e controindicazioni. Tra queste terapie, la trasfusione di sangue (o di emocomponenti o di emoderivati) è considerata uno dei principali presidi terapeutici…    link

Già nei primi anni del ventesimo secolo la scienza riuscì a penetrare nella complessa struttura del sangue umano individuando la diversa impronta genetica che caratterizza i gruppi sanguigni. Il dato differenziale non era e non è di poco conto e fa la differenza della risuscita della pratica trasfusionale.

La compatibilità del gruppo sanguigno del donatore con quello del ricevente era ed è il requisito minimo per scongiurare una letale reazione emolitica capace di annientare una grande quantità di globuli rossi che, inevitabilmente, produce la morte.

Ancora oggi, molti pazienti muoiono per la trasfusione di un gruppo sanguigno errato anziché di quello compatibile. Nonostante i controlli e le cicliche prove di compatibilità, sussistono rischi ulteriori che vanno oltre il mero errore materiale nella somministrazione di una sacca di sangue (es. del gruppo A anziché di gruppo B). Alcune reazioni emolitiche letali, denunciano infatti che la tipizzazione del sangue non è l’unico criterio per stabilire la compatibilità.
Il sangue trasfuso da una persona ad un’altra agisce infatti sul sistema immunitario stimolando diverse reazioni di difesa dell’organismo (in un documento del Congresso del National Institutes of Health del 1988, venne affermato che “…circa una trasfusione su 100 è accompagnata da febbre, brividi e orticaria…circa una trasfusione di eritrociti su 6.000 da luogo a una reazione emolitica. Questa è una grave reazione immunitaria che può verificarsi in modo acuto o qualche giorno dopo la trasfusione; può provocare insufficienza renale acuta, shock, coagulazione intravascolare disseminata e anche la morte…”). Un ruolo determinante in questo sistema di protezione è quello degli antigeni: sostanze che, introdotte nell’organismo, provocano la formazione di anticorpi. Relativamente al sangue umano, già nel trentennio compreso fra gli anni sessanta e novanta del ventesimo secolo “…sono stati individuati e caratterizzati almeno altri quattrocento antigeni dei gruppi sanguigni. Non c’è dubbio che il numero continuerà a salire perché la membrana degli eritrociti è enormemente complessa…” (Douglas H. Posey, “Emotrasfusioni: usi, abusi e pericoli”, Journal of the National Medical Association, luglio 1989).

Da questa complessità del sangue, può derivare il rigetto del liquido ematico trasfuso. Infatti come tessuto connettivo oggetto di trapianto, il sangue, al pari di altri tessuti o organi trapiantati, viene avvertito, dal sistema immunitario del paziente ricevente, come un corpo estraneo. Cosicché, anche il sangue validato dalle prove crociate di compatibilità e di tipizzazione del gruppo sanguigno può compromettere gravemente il sistema immunitario del paziente trasfuso (E’ scientificamente noto che centinaia di relazioni scientifiche “hanno stabilito un nesso fra trasfusioni di sangue e risposte immunitarie”. — Medical World News, 11 dicembre 1989).

Ne consegue che alla riduzione funzionale del sistema immunitario corrisponde un’inevitabile aumento delle probabilità di contrarre malattie. (Una ricerca condotta nei Paesi Bassi e pubblicata nella rivista Cancer del 15 febbraio 1987 affermava che “…nei pazienti affetti da cancro del colon è stato riscontrato un significativo effetto sfavorevole delle trasfusioni sulla sopravvivenza a lungo termine. In questo gruppo la sopravvivenza globale cumulativa in un periodo di 5 anni è stata del 48% nei pazienti trasfusi e del 74% nei non trasfusi…” La University of Southern California, nell’ambito di uno studio su un gruppo di pazienti oncologici sottoposti ad interventi chirurgici, sosteneva che “…la recidività di tutti i carcinomi laringei è stata del 14% per i non trasfusi e del 65% per i trasfusi. Per i tumori del cavo orale, della faringe e del naso o dei seni paranasali, il tasso di recidive è stato del 31% senza trasfusioni e del 71% con le trasfusioni”. — Annals of Otology, Rhinology & Laryngology, Marzo 1989. Cfr. anche John S. Spratt che nell’articolo “Emotrasfusioni e chirurgia oncologica”, osserva: “Il chirurgo oncologo potrebbe dover rinunciare alle trasfusioni”. — The American Journal of Surgery, Settembre 1986).

Inoltre, un sistema immunitario compromesso da trasfusione di sangue è incapace di difendere l’organismo dalle infezioni ciò significa che i pazienti trasfusi hanno più probabilità di contrarre infezioni (P. I. Tarter in uno studio afferma che le “…trasfusioni di sangue somministrate prima, durante o dopo l’intervento sono state associate a complicanze infettive … Il rischio di contrarre un’infezione postoperatoria aumentava proporzionalmente al numero di unità di sangue trasfuse”. (The British Journal of Surgery, agosto 1988).

(Articolo interamente tratto da: Indennizzo e risarcimento da prelievi e trasfusione di sangue, R. Mattarelli, R. Mezzini, pag. 258 – 260, Maggioli, 2007).

Ad un primo esame, fotografare la storia delle conoscenza scientifiche dei rischi connessi alle trasfusioni di sangue “ dalla loro comparsa come strumento terapeutico fino alla metà  degli anni ’90 del secolo scorso (epoca in cui, a sentir i molti, sarebbe stata raggiunta la “massima sicurezza” sul sangue)  può apparire arduo.
Ciononostante attraverso una ricerca a trecentosessanta gradi nel ritroso più remoto.

(Per completezza di informazione vengono indicate anche le ipotesi di indennizzo da danno da vaccinazione).
La domanda, in carta semplice, deve contenere i seguenti dati:
• dati anagrafici del danneggiato;
• dati anagrafici dell’eventuale rappresentante o rappresentanti (nel caso di minori o incapaci) o richiedente (in caso di morte del danneggiato);
• indicazioni del danno per il quale si chiede l’indennizzo: danno da vaccinazione, danno da epatiti post-trasfusionale, infezione HIV;
• elenco della documentazione allegata;
• indirizzo al quale inviare ogni comunicazione;
• firma del richiedente; in caso di minorenni o di incapaci deve essere firmata da uno dei genitori o dal legale rappresentante;
• data di presentazione.

Alla domanda va allegata la documentazione amministrativa e sanitaria specifica per le diverse tipologie di beneficiari sotto indicata.

I. PERSONA DANNEGGIATA IN VITA.
Documentazione amministrativa.
Per i documenti amministrativi occorre attenersi alle disposizioni in materia di dichiarazioni sostitutive indicate nel DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 (Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2001):
• certificato di nascita del danneggiato
• certificato di residenza
• stato di famiglia nel caso di danneggiato minorenne
• nomina del tutore nel caso di danneggiato interdetto.

Documentazione sanitaria.
A. Documenti sanitari per danni da vaccino.
La documentazione deve comprovare:
• la data di vaccinazione e l’indicazione dei dati delvaccino;
• le manifestazioni cliniche conseguenti alla vaccinazione e la data (giorno, mese, anno) in cui si sono evidenziate;
• l’entità delle lesioni o l’entità della malattia da cui è derivata la menomazione;
• la necessità o l’obbligatorietà della vaccinazione.
Documenti sanitari per danni da vaccino:
a. copia conforme del certificato vaccinale della Azienda sanitaria locale o del Comune;
b. copia conforme della cartella clinica completa del primo ricovero o altra certificazione medica relativo e al danno subito;
• copia conforme dell’ordinanza dell’autorità sanitaria per le vaccinazioni obbligatorie o documentazione del datore di lavoro in caso di vaccinazione per motivi di lavoro o documentazione sulla necessità di vaccinazione anche se non obbligatoria.

B. Documenti sanitari per danni da contatto con persona vaccinata.
I documenti riguardano sia la persona che ha determinato il danno sia la persona danneggiata. Essi devono comprovare:
• che la persona vaccinata fosse nelle condizioni di poter contagiare le persone con cui veniva a contatto;
• le modalità e le caratteristiche del contatto tra il danneggiato e la persona vaccinata.
Documenti sanitari per danni da contatto con persone vaccinate.
Persona vaccinata:
• Copia conforme del certificato vaccinale della Azienda sanitaria locale o del Comune.
Persona danneggiata:
• Copia conforme della cartella clinica completa del primo ricovero o di altra certificazione medica relativa al danno.

C. Documenti sanitari per danni da trasfusione o somministrazione di emoderivati.
La documentazione deve comprovare:
• la data di effettuazione della trasfusione o della somministrazione di emoderivati con l’indicazione dei dati relativi all’evento trasfusionale o della somministrazione dell’emoderivato;
• la data dell’avvenuta infezione da HIV o da epatiti post-trasfusionali.
Documenti sanitari per danni da trasfusione.
Politrasfusi:
scheda informativa debitamente compilata e riportante firma e timbro del dirigente della struttura sanitaria presso la quale l’interessato è in cura o del proprio medico di famiglia. Va utilizzata la scheda riportata nella G.U. n. 145 del 22 giugno 1992, serie generale.
Trasfusi occasionali:
a. copia conforme della cartella clinica completa e riportante la prova evidente e certa delle avvenute trasfusioni con le opportune scritte o con i bollini adesivi delle sacche utilizzate, nel diario clinico o nella scheda anestesiologica;
b. documentazione sanitaria indicante la data (giorno, mese, anno) del primo accertamento di positività e contenente la diagnosi di infezioni da HIV o di epatite virale post-trasfusionale. Nel caso di cartella clinica essa deve essere in copia conforme e completa;
c. eventuali analisi o cartelle cliniche relative a ricoveri intercorsi fra l’evento trasfusionale e l’accertamento del danno.

D. Documenti sanitari per operatori sanitari contagiati da HIV o da epatite durante il lavoro.
Dalla documentazione deve risultare che:
• il danneggiato è un operatore sanitario;
• il contatto con il sangue proveniente da soggetto HIV positivo o affetto da epatite è avvenuto durante il servizio effettivo;
• la data di accertamento della prima positività per HIV o per epatite.
Documenti sanitari per operatori sanitari contagiati da HIV o da epatite durante il lavoro:
a. originale o copia conforme della denuncia di infortunio subito sul lavoro riportante l’avvenuto contatto con sangue proveniente da soggetto HIV positivo (D.M. 28 settembre 1990, articolo 9, comma 3) o affetto da epatite;
b. dichiarazione della Direzione sanitaria della struttura dove si è verificato l’evento attestante che l’interessato era in servizio effettivo durante lo svolgersi dei fatti;
• copia conforme della cartella clinica relativa all’evento di ricovero durante il quale è stata accertata la prima positività per HIV, ovvero copia conforme delle analisi di laboratorio qualora l’accertamento non sia avvenuto in regime di ricovero.

E. Documenti sanitari per aggravamento o doppia patologia.
Dalla documentazione deve risultare:
• l’aggravamento della patologia per la quale è stata fatta domanda e si è ottenuto il riconoscimento;
• l’insorgere di una nuova patologia in conseguenza della stessa o di successive vaccinazioni o trasfusioni;
• documenti richiesti per gli specifici casi.

II. PERSONA DANNEGGIATA DECEDUTA
A. Pagamento rateo agli eredi.
Nei casi in cui la persona danneggiata che ha presentato domanda muore prima o durante la percezione dell’indennizzo i ratei non erogati competono agli eredi che devono fornire la documentazione che dimostri la loro qualità di erede.
Documenti amministrativi:
a. certificato di morte del danneggiato;
b. testamento o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà redatto ai sensi degli artt. 38 e 47 del DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 (G.U. n. 42 del 20 febbraio 2001) contenente sia la dichiarazione che il de cuius non ha lasciato testamento, sia l’elencazione degli eredi che eventualmente l’indicazione dell’erede delegato alla riscossione (sottoscritta da tutti gli eredi);
c. certificato di residenza del o dei beneficiari o dichiarazione sostitutiva di certificazione redatta ai sensi degli artt. 43 e 46 del DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 (G.U. n. 42 del 20 febbraio 2001);
d. stato di famiglia originario del de cuius o dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà redatto ai sensi degli artt. 38 e 47 del DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 (G.U. n. 42 del 20 febbraio 2001);
e. dichiarazione di successione in copia conforme all’originale (precedente modello 240) rilasciata dall’Ufficio dell’agenzia delle entrate territorialmente competente rispetto alla residenza in vita del de cuius, comprensiva dei ratei maturati e non riscossi.
Nei casi di successione devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta, in cui l’asse ereditario non comprende beni immobili e i beni mobili non superano lire 50.000.000 (verificare eventuali aggiornamenti presso l’Ufficio dell’agenzia delle entrate), può essere presentata dichiarazione dove si specifica che, in base all’art. 28, comma 7, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, non sussiste l’obbligo della dichiarazione di successione poiché l’asse ereditario non comprende beni immobili e i beni mobili non superano lire 50.000.000;
f. codice fiscale del o degli aventi diritto;
g. provvedimento del Giudice tutelare qualora tra gli eredi vi siano minori od interdetti, che autorizzi il o i legali rappresentanti del minore o dell’interdetto alla riscossione e determini le modalità di impiego delle somme riscosse;
h. numero di conto corrente bancario o postale completo delle coordinate ABI e CAB e della firma del o dei beneficiari/intestatari del conto, (in caso di conto corrente cointestato occorrono le firme di tutti i contestatari del C/C).

B. Pagamento assegno di reversibilità o di una tantum agli aventi diritto.
Documenti amministrativi.
Dai documenti si deve evincere chi sono gli aventi diritto.
a. Certificato di morte;
b. stato di famiglia originario del de cuius o dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà redatto ai sensi degli artt. 38 e 47 del DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 (G.U. n. 42 del 20 febbraio 2001);
c. certificato di residenza del o dei beneficiari o dichiarazione sostitutiva di certificazione redatta ai sensi degli artt. 43 e 46 del DPR n. 445 del 28 dicembre 2000 (G.U. n. 42 20 febbraio 2001);
d. codice fiscale del o degli aventi diritto;
e. provvedimento del Giudice tutelare qualora tra gli eredi vi siano minori od interdetti, che autorizzi il o i legali rappresentanti del minore o dell’interdetto alla riscossione e determini le modalità di impiego delle somme riscosse;
f. codice fiscale di chi esercita la potestà parentale o la tutela.
Documenti sanitari.
La documentazione sanitaria deve dimostrare il nesso di causalità tra:
• vaccinazioni/ trasfusioni sangue/somministrazione emoderivati e l’infermità;
• tra l’infermità e la morte.

Documenti sanitari per reversibilità o una tantum.
Decesso prima della presentazione della domanda di indennizzo:
• i documenti relativi ai casi specifici;
• cartella clinica relativa al decesso ovvero, in caso di morte al di fuori di strutture ospedaliere, copia conforme scheda di morte ISTAT (modello ISTAT/D/4).
Decesso successivo alla presentazione della domanda di indennizzo:
• copia conforme cartella clinica relativa al decesso ovvero, in caso di morte al di fuori di strutture ospedaliere, copia conforme scheda di morte ISTAT (modello ISTAT /D/4).

Il Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t. è responsabile del contagio post-trasfusionale e dei conseguenti danni per avere in violazione del principio generale del neminem laedere ex art. 2043 c.c., colposamente, omesso di vigilare sulla sicurezza del sangue nonché violato l’art. 2 Cost., che garantisce il diritto inviolabile dell’uomo all’integrità fisica e l’art. 32 Cost. garantisce la salute come diritto fondamentale di ogni cittadino.
La causa petendi, pertanto, costituita dal comportamento omissivo del Ministero della Salute per colposa inosservanza dei suoi doveri istituzionali (oltre che di programmazione, indirizzo e coordinamento) di sorveglianza e vigilanza in materia sanitaria e in particolare, nella produzione, commercializzazione e distribuzione del sangue, a prescindere da ulteriori eventuali responsabilità di altri soggetti nell’attività di effettiva distribuzione e somministrazione.
La fonte normativa che integra la norma primaria del neminem laedere, da cui si ricava l’esistenza di doveri istituzionali in capo al Ministero della Salute è costituita da un coacervo di norme di dettaglio in materia di raccolta, lavorazione e somministrazione di sangue, come esattamente riportate in numerose sentenze dell’intestato Tribunale e in particolare nella Sentenza n. 23097 del 4/15 giungo 2001 con la quale è stata riconosciuta “…la competenza generale nel vigente ordinamento del convenuto <Ministero della Salute> al fine di provvedere alla tutela della salute pubblica secondo il disposto (art. 1, comma 1) di cui alla Legge 13.03.58 n. 296 istitutiva del Ministero della Sanità… <risultandone> …confermato in capo al Ministero della Salute il dovere, che è strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, di vigilanza nella preparazione ed utilizzazione dei prodotti derivati dal sangue da destinare al consumo umano, al quale corrisponde un dovere aggravato di diligenza nell’impiego delle cure ed attenzioni necessarie alla verifica della sua sicurezza…il Ministero per la pericolosità insita nell’attività trasfusionale peraltro gestita per il tramite di strutture sussidiarie e da esso comunque autorizzate e/o dipendenti e controllabili, era ed è quindi, responsabile dei danni cagionati a terzi…”.
La disciplina legislativa dei controlli sul sangue, come trattamento terapeutico, ha (come ampiamente indicato nella suindicata Sentenza) radici remote rispetto all’epoca dell’infezioni (metà degli anni ’90) ed il Ministero della Salute non può andare esente da responsabilità .
Infatti, già con la legge n. 592 del 14.07.67 vennero, emanate norme per la raccolta, conservazione, frazionamento, controllo ed utilizzo dei prodotti derivati da sangue e plasma nonché, a seguire (frapposta da intensa normativa attuativa), con la legge n. 107 del 4 maggio 1990, che disciplinava le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati ma solo nel 1994, quando era oramai troppo tardi, veniva definitivamente attuato il c.d. “Piano sangue nazionale”.
Il diffuso danno da contagio non si sarebbe verificato se il dicastero avesse esercitato attivamente al tempo e sulla base delle conoscenze progressivamente raggiunte dalla scienza, il controllo e la vigilanza sulla sicurezza del sangue e dei suoi componenti e derivati.
Invero, l’impianto legislativo originario del sistema trasfusionale italiano (improntato con la legge n. 592 del 14.07.67) rappresentava un punto di partenza solo sul piano normativo ma, non anche, su quello scientifico, nel senso che la legge n. 592/67 era il risultato di un pregresso patrimonio di conoscenze scientifiche (già dagli anni ’30) che il Ministero della Salute (già della Sanità e ancor prima dell’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica) non poteva non conoscere al tempo.
Non solo quindi il Ministero della Sanità (1958) e non solo il precedente Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica (1945) ma anche l’ente a sua volta precedente: Direzione Generale della Sanità Pubblica (1934), erano tutti depositari di conoscenze specifiche sull’altissima probabilità di contagio post-trasfusionale (in particolare da virus di epatite).
Ciò avrebbe dovuto stimolare a livello istituzionale la dovuta prevenzione in virtù di facili previsioni dei danni da emotrasfusioni.
Pertanto, la responsabilità dell’Amministrazione Sanitaria, non può non
passare attraverso la combinazione degli artt. 2056 e 1225 c.c., in virtù della quale sono risarcibili sia i danni prevedibili che quelli imprevedibili, vista la natura extracontrattuale della responsabilità del Ministero.
Ciò rileva, altresì, a prevenzione delle già note eccezioni del Ministero della Salute che predica sbarramenti temporali della propria responsabilità al 1988 per l’HCV (epatite C) in virtù delle sopravvenute conoscenze rilevatrici del virus.
All’uopo occorre ribadire l’orientamento dell’intestato Tribunale che, coerentemente e correttamente, ha dichiarato la responsabilità del dicastero non sulla elementare consacrazione normativa dell’obbligo di ricerca del virus sui prelievi dai donatori (1985 per HCV) ma sulla concreta e materiale disponibilità di strumenti rilevatori dei virus già a disposizione della comunità scientifica e sull’unicità dell’evento dannoso a prescindere ed indipendentemente dalle date di attuazione dei controlli sul sangue (1978 per HBV, 1985 per HCV, 1988-89 per HIV). Comunque, a togliere ogni dubbio, sull’acclarata responsabilità dell’ente convenuto nell’ambito delle notorie vicende relative al cd. “sangue infetto” sono recentemente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che nel gennaio del 2008 hanno emesso un coacervo di Sentenze.
Ex plurimis, le SS. UU. 11.01.08, n. 581, “…in materia di responsabilità da omessa vigilanza del Ministero della Sanità (ora della Salute), premesso che sul ministero gravava un obbligo di controllo, direttiva e vigilanza sull’impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinché fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi, il giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento…” .

L’undici gennaio del 2008, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato, con dieci sentenze “gemelle”, i principi giuridici e giudiziari sottesi alle problematiche dell’indennizzo previsto dalla legge n. 201/1992 e del risarcimento da trasfusioni di sangue infetto. …

Le Sentenze dell’11 gennaio 2008 (dalla n. 576 alla n. 584) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato le diverse problematiche giuridiche sottese all’indennizzo ex legge n. 210/1992 ed al risarcimento dei danni da trasfusione di sangue infetto e somministrazione di emoderivati….

La tematica del nesso causale, prima delle pronunce delle Sezioni Unite, venne così ben compendiata:“Raccordando gli elementi finora raccolti con il particolare campo dell’indagine, circoscritto al risarcimento del danno da emotrasfusioni ed emoderivati, sembra di poter sintetizzare come segue i principali punti nodali della problematica sul nesso causale…

GIURISPRUDENZA MASSIMATA

SUL SANGUE INFETTO

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