Latina, 16 luglio 2019
Oggi la vittima ha 74 anni e la corte di Appello di Roma le ha riconosciuto un maxi risarcimento: 450mila euro a fronte dei miseri 100mila assegnati in primo grado.
Era arrivata al punto di evitare, da 10 anni, ogni contatto fisico con marito e familiari, questo per non contagiarli con l’epatite che aveva contratto dopo una trasfusione di sangue infettoche aveva ricevuto quando aveva 25 anni. Oggi, che ne ha 74, la corte di Appello di Roma le ha finalmente riconosciuto un maxi risarcimento: 450mila euro a fronte dei miseri 100mila che il primo grado di giudizio le aveva assegnato, pronunciamento che la donna aveva impugnato.
I fatti sono accaduti a Latina e risalgono al 1970. La protagonista della vicenda, paradossalmente una ex dipendente dell’ospedale dove la sua vita sarebbe cambiata per sempre, il “Santa Maria Goretti” è una giovane donna nel pieno delle sue forze. Una trasfusione effettuata con sangue infetto però le rovina l’esistenza. La donna contrae il virus dell’epatite C con il quale convive senza saperlo fino al 2009.Quando la donna scopre di aver contratto la malattia inizia per lei non solo un calvario clinico, ma anche un periodo buio della sua vita, nel quale fanno capolino empirico (e provato per tabulas nel corso del processo bis) depressione e assoluto rifiuto di toccare marito, figli e nipoti. Come racconta Teleuniverso, la donna non ha subito solo un danno al fegato, ma anche un danno alla psiche ed alla qualità generale della sua vita, danno qualificabile in nesso eziologico (causa-effetto) con il contagio avvenuto mezzo secolo prima. Quelle ragioni giuridiche sono state esposte dal legale della donna, avvocato Mattarelli, che ha ottenuto in Appello la condanna del Ministero della Salute per omesso controllo delle trasfusioni che rovinarono la vita di una giovane e che ancora fanno sentire il loro peso sull’esistenza di un’anziana.