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Il contenuto e difficoltà  dell’onere della prova del nesso causale

Il contenuto e difficoltà dell’onere della prova del nesso causale

Chi è chiamato a dare la prova del nesso causale si misura con alcune difficoltà tipiche della responsabilità da trasfusioni da sangue infetto. In particolare si deve evidenziare come il rapporto causale fra condotta ““ conseguenza ““ danno è reso problematico dalla maggiore difficoltà nel censurare una condotta omissiva rispetto ad una condotta commissiva. In questo ultimo caso infatti l’azione del danneggiante è esternata con movimenti percepibili (es. recisione chirurgica di un’aorta) e quindi soggetta alla visibilità materiale e, conseguente, apprezzabile o criticabile (se conforme o meno all’ars medica). Nella condotta omissiva, invece, non vi è manualità e materialità dell’azione, con la conseguenza che il posteriore esame critico è meno agevole poiché all’analisi del giurista vi è ciò che non appare materialmente, ed anzi, il giudizio di congruità di ciò che non è stato fatto si fonda sull’invisibile.

A tale primo ostacolo si aggiunge la c.d. “lungolatenza” del danno post-trasfusionale che, non manifestandosi per lungo tempo, può essere interferito da altri fatti (dialisi; tatuaggi; prestazioni dentistiche; rapporti sessuali; scambio di siringhe tra tossicodipendenti; ecc.) diversi dalla trasfusione, non provocati dalla parte convenuta in giudizio ed autonomamente capaci di provocare la patologia (HBV; HCV; HIV) e di incidere come cause o concaue sul nesso causale.

D’altra parte si deve osservare che l’accertamento della responsabilità per danni post-trasfusionali, da annoverarsi in quella medico-sanitaria, è temperato dall’uso delle presunzioni e dalla comunione dell’onere probatorio con il convenuto (medico; struttura; Ministero della salute) e, anzi, in taluni casi si assiste ad una parziale inversione dell’onere probatorio (Cfr. M. BONA, Il nesso di causa nella responsabilità civile del medico e del datore di lavoro a confronto con il decalogo delle sezioni unite penali sulla causalità omissiva, in Riv. dir. civ. 2003, 362 ss).

In tale ultima ipotesi si assiste al c.d. principio della “vicinanza della prova” del convenuto (soggetto sanitario) quale detentore delle informazioni sanitarie documentate (Cass. n. 23918/2006; Cass. n. 3651/2006).
Si pensi ad esempio alle omissioni imputabili al medico nella redazione della cartella clinica che rilevano come nesso eziologico presunto, posto che l’imperfetta compilazione della stessa non può, in via di principio, risolversi in danno di colui che vanti un diritto in relazione alla prestazione sanitaria. In tema di smarrimento o di cattiva documentazione della cartella clinica, la Cassazione ha affermato che ciò “”¦naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la “vicinanza alla prova”, e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla”¦” (Cass. civ., Sez. III, 21/07/2003, n. 11316).

Allo stesso modo va risolta con il sistema delle presunzioni, l’impossibilità di accedere alla documentazione trasfusionale per la dovuta ricostruzione del percorso e dei soggetti che hanno partecipato a vario titolo alla terapia ematica (dal donatore al Centro Trasfusionale, dalla raccolta al frazionamento e lavorazione, alla somministrazione). In mancanza della “tracciabilità“ del sangue trasfuso, non sarebbe infatti giusto e congruo addossare al soggetto danneggiato il risultato negativo dell’altrui condotta, soprattutto quando questa è proprio del soggetto convenuto in giudizio e che, quindi, potrebbe avere l’interesse a non produrre quella documentazione sanitaria e trasfusionale di cui è esclusivo custode.

Prima delle Sezioni Unite dell’11 gennaio 2008, la problematica dell’onere probatorio del nesso causale nell’ambito della responsabilità per sangue infetto, veniva risolta nella quasi totalità dei casi (Contro Trib. Bologna, 19.6.2003, n. 3374) nella precostituzione della prova del nesso causale con il deposito (per chi avesse già  inoltrato la domanda di indennizzo legge n. 210/1992) nel fascicolo di causa del verbale delle Commissioni Medico Ospedaliere, indicanti l’esistenza del rapporto causale fra trasfusione-infezione-patologia (vedi anche Cass. n. 11609/2005). Avv. Rosita Mezzini

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