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Risarcimento da trasfusione coatta – Inesistenza di un “Dovere di Intervento Medico”

Risarcimento da trasfusione coatta
INESISTENZA DI UN “DOVERE DI INTERVENTO MEDICO”

Non si ravvisano nel nostro Ordinamento norme che permettono (o che impongono) ad un medico di praticare un trattamento sanitario contro la volontà del paziente.

Se ciò avviene, al di fuori dei casi previsti, dall’art. 32, comma 2, Cost., la responsabilità dei convenuti è in res ipsa loquitur!

Pertanto, nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario senza il suo consenso e a maggior ragione contro la sua volontà.

Come è infatti noto a tutti, la Costituzione prevede una “garanzia attiva” espressa nel “diritto ad essere curato” (art. 32, comma 1) ed una “garanzia passiva” (art. 32, comma 2) esprimibile con “il diritto alla scelta delle cure” nonchè con il “diritto al rifiuto delle cure”.

Nell’ambito di tale seconda garanzia si dipana il “diritto al consenso informato” come momento antecedente alla c.d. scelta terapeutica in cui ovviamente rientra il diritto a rifiutare le cure o determinate cure.
Tale diritto di scelta/rifiuto è superabile solo quando una legge imponga un determinato trattamento sanitario a garanzia della salute collettiva (es. vaccinazioni obbligatorie) e, comunque, nel rispetto della dignità umana.
Quanto sopra, inconfutabile, ineccepibile e certo sul piano giuridico, deve essere “calato” nelle singole ipotesi di trasfusione coatta al fine di verificare la compatibilità del modello legale (fattispecie astratta) con il modello di condotta sanitaria (fattispecie concreta) dedotto in giudizio.

Ciò significa che per andare esente da responsabilità, i sanitari dovrebbero (anzi devono) dimostrare che, nel caso specifico, le trasfusioni di sangue sono state praticate con il consenso del paziente o, in mancanza di consenso, devono indicare la legge che imponga le emotrasfusioni (art. 32, comma 2, Cost.) e quindi che le trasfusioni sono state praticate in virtù di un interesse pubblico (legislativamente previsto) e, comunque, nel rispetto della dignità del paziente.

Per questo i medici non possono invocare in loro favore il “dovere di intervento”, diversamente sanzionabile, poiché “”¦il medico che abbia adempiuto il suo obbligo morale e professionale di mettere in grado il paziente di compiere la sua scelta ed abbia anche verificato la libertà della scelta medesima, non può essere chiamato a rispondere di nulla, giacché di fronte ad un comportamento nel quale si manifesta l’esercizio di un vero e proprio diritto, la sua astensione da qualsiasi iniziativa di segno contrario diviene doverosa, potendo diversamente configurare a suo carico persino gli estremi di un reato (art. 610)”¦” (Cass. 29.5.02 n. 3122 – cfr. anche Cass. 5639/92; Cass. 585/01; Cass. 731/2001).

Invero “”¦nel nostro ordinamento giuridico non è rinvenibile alcun obbligo giuridico per il medico di intervenire prescindendo dalla volontà del paziente. Infatti lo stato di necessità, quale causa oggettiva di elisione del reato, non impone alcun obbligo di intervento ma si limita ad eludere rilevanza penale della condotta del medico che intervenga a favore della sopravvivenza del malato, anche senza aver acquisito il consenso di quest’ultimo. Se ciò è vero nel caso di assenza di consenso, a maggior ragione non esiste alcun obbligo giuridico per il medico di intervenire se il paziente stesso abbia addirittura espresso il proprio dissenso informato”¦” (Trib. Pen. Roma – GUP, 17.10.07 n. 2049).

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