Sentenza del Tribunale di Roma, 14 Giugno 2001
Il nesso causale tra trasfusioni e contagio
Attori ed intervenuti assumono di aver contratto le infezioni virali in occasione di pratiche trasfusionali (espressione questa da intendersi in senso generico) alle quali sono stati costretti dallo stato di emofilia in cui essi versavano. Dalla documentazione sanitaria prodotta in giudizio risulta, infatti, che si tratta di soggetti prevalentemente emofilici, per i quali la terapia è normalmente costituita dalla somministrazione di emoderivati, ovvero affetti da altre patologie emorragiche (come la talassemia: è il caso, ad esempio, di xxxxx; la leucemia: è il caso, ad esempio, di xxxxxx; il morbo di Von Willebrand ecc.) curate con periodiche trasfusioni di sangue o suoi componenti. Come già ritenuto dalla Corte di appello di Roma, il nesso causale si evince dalla documentazione sanitaria prodotta in giudizio e, quanto a coloro per i quali essa manca (vedi par. n. 3), dal comportamento processuale del Ministero che non l’ha specificamente contestato.
Ciò è sufficiente ai fini della richiesta pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni, il cui contenuto di mera declaratoria iuris postula quale presupposto necessario e sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose (restando impregiudicato l’accertamento, riservato al giudice della liquidazione, dell’esistenza ed entità del danno nonchè del nesso di causalità tra questo e l’illecito) ed alla quale pronuncia è di ostacolo solo la prova positiva e concreta, che qui manca, dell’insussistenza del danno e del rapporto di causalità (v. Cass. n. 4511/1997). Quanto a xxxxxx, il nesso causale può essere riconosciuto, essendo verosimile che la causa dell’infezione sia stata il contatto con il coniuge xxxxxx (emofilico ed emotrasfuso) del quale è stata prodotta la documentazione sanitaria (è significativo, sul punto, che la legge n. 210/1992 riconosca l’indennizzo anche al coniuge del soggetto danneggiato: v. art. 2, co. 3).