Sentenza del Tribunale di Roma, 14 Giugno 2001
La qualificazione della domanda
Attori ed intervenuti hanno richiamato a sostegno dell’affermata responsabilità del Ministero convenuto gli artt. 2043, 2049 e 2050 c.c..
Come già ritenuto dalla Corte d’appello, tra gli enti (unità sanitarie locali, ospedali ecc., tutti dotati di autonoma personalità giuridica) che hanno provveduto all’effettiva somministrazione degli emoderivati nell’ambito del servizio sanitario nazionale ed il Ministero, non sussiste un rapporto di dipendenza ovvero di committenza che possa giustificare l’applicazione dell’art. 2049 c.c., sicché improprio è il richiamo alla suddetta disposizione.
Ugualmente improprio è il fugace riferimento all’art. 2050 c.c.: attività pericolosa non è quella del Ministero che, come si vedrà , esercita la vigilanza in materia sanitaria e di uso dei derivati del sangue, ma semmai quella dei soggetti direttamente coinvolti nella produzione e commercializzazione dei prodotti (ne èesempio l’affermazione della responsabilità delle imprese farmaceutiche, ai sensi dell’art. 2050 c.c., nella vicenda riguardante la produzione ed immissione in commercio di farmaci destinati all’inoculazione nell’organismo umano umane e contenenti immunoglobuline infette dal virus dell’epatite B: v., tra le altre, Cass. 20.7.1993, n. 8069; 27.1.1997, n. 814).
E’ vero che al Ministero spetta di fissare il prezzo di cessione delle unità di sangue tra i servizi sanitari in modo uniforme su tutto il territorio nazionale (v. art. 1, co. 6, l. 4.5.1990, n. 107) e di autorizzare l’importazione ed esportazione del sangue e dei suoi derivati, tuttavia si tratta di poteri-doveri complementari a quello di vigilanza e funzionali alla regolazione ed organizzazione generale di un settore di primaria rilevanza pubblica. La pericolosità della pratica terapeutica della trasfusione di sangue e dell’uso di emoderivati (riconosciuta nell’art. 19 del d.m. sanità 15.1.1991 come “non esente da rischi”), così come della produzione e commercializzazione dei prodotti in questione, non rende ovviamente pericolosa l’attività ministeriale la cui funzione è proprio quella di controllare e vigilare a tutela della salute pubblica.
La domanda dev’essere, pertanto, qualificata ai sensi dell’art. 2043 c.c., come implicitamente si deduce dalla dedotta responsabilità del Ministero per avere, in violazione del principio del neminem laedere e, quindi, colposamente, omesso di vigilare sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati.
Se è vero che, in caso di danno prodotto dal comportamento non provvedimentale della p.a., l’elemento soggettivo del dolo o della colpa si risolve “nella violazione” ““ la quale si traduce nella lesione dei diritti soggettivi dei terzi all’integrità psicofisica – delle regole di comune prudenza “¦ ovvero di leggi e regolamenti alla cui osservanza la p.a. è vincolata” (v. Cass. 6.4.1998, n. 3553), è necessario individuare le fonti normative che consentano di affermare l’esistenza di obblighi comportamentali connessi alle funzioni pubbliche assegnate al Ministero della sanità .