Colleferro, donna muore per trasfusione che nessuno aveva ordinato. Il sangue era per un altro paziente dell’ospedale Parodi.
ROMA – «Tremava tutta, sembrava che ballasse». Le parole della figlia lasciano il posto alla commozione nel corso dellaricostruzione della terribile e assurda fine di Vittoria Gentili, deceduta esattamente un anno fa. Morta dopo una trasfusione di sangue che nessuno aveva prescritto, ma che le è stata fatta all’ospedale «Parodi Delfino» di Colleferro.
Per Vittoria sono bastati sette minuti, tanto è passato da quando un infermiere ha avviato la trasfusione a quando, in tutta fretta, è tornato a togliere la sacca. Poi si è cercato di occultare la vicenda, al punto che nella cartella clinica dell’ospedale di Colleferro non si menziona la trasfusione. Ma poi sostengono i figli e i nipoti di Vittoria, 77 anni, di Colleferro la verità è venuta a galla, al punto che adesso sono state avviate le pratiche per chiedere un risarcimento del danno all’ospedale e alla Asl Roma G. Si sono affidati allo studio di Renato Mattarelli, avvocato specializzato proprio in danni da sangue.
«La trasfusione non era stata prescritta – dice il legale – non era compatibile e comunque nessuno l’aveva autorizzata. E’ seguito un grave shock e successivamente il decesso». Al policlinico Umberto I di Roma, dove la donna era stata mandata ufficialmente per una consulenza e dove, invece, è rimasta fino al decesso. Il posto a Colleferro, infatti, nel frattempo non c’era più.
E’ una storia paradossale, iniziata con una febbre che non calava e finita nel modo peggiore. Un primo accesso al pronto soccorso di Colleferro, il ritorno a casa, un day hospital saltato, un nuovo appuntamento, le condizioni che non miglioravano e alla fine il ricovero. La febbre che andava e veniva, i figli sempre al suo capezzale e a chiedere informazioni, l’ipotesi che tutto dipendesse dal morbo Guillain Barrè, una malattia rara del sistema neurologico che però dalle cartelle cliniche di Colleferro e dell’Umberto I non è riscontrata. E’ il 25 maggio dello scorso anno quando viene praticata la trasfusione: entra un infermiere, attacca la sacca di sangue e va via. Torna poco dopo, trafelato, e la toglie senza avvisare nessuno.
Scatta il tremore «fremiti scuotenti – dice Mattarelli – una classica reazione post trasfusionale». Della trasfusione si parlerà solo il giorno dopo, quando i figli vanno a chiedere ed emerge che nessuno aveva prescritto quel sangue. Un errore per il quale arrivano anche le scuse del dirigente del reparto di Medicina ma la situazione ormai è precipitata. Il 27 maggio si va a Roma, dove i medici «considerato il quadro clinico» provano a salvare la donna con continue infusioni di emoderivati. E’ nella cartella clinica dell’Umberto I che emerge la trasfusione.
«Abbiamo scoperto che era per un paziente della stanza accanto – spiega l’avvocato – è stato un errore, è evidente, ma forse intervenire più tempestivamente avrebbe dato alla signora una chance di salvarsi». E se non fosse stata presente la figlia al momento della trasfusione sbagliata di quel sangue somministrato non si sarebbe mai saputo nulla. Anche per questo i familiari chiedono di essere risarciti.
Il Messaggero