26 maggio 2017.«Il sangue che arriva da Latina non è buono». Quando ha scoperto di avere l’epatite C – nel 2012 – si è ricordato la frase sentita all’ospedale di Cori trenta anni prima e ha ricostruito come poteva aver contratto il virus

Oggi il Tribunale di Roma gli ha riconosciuto un risarcimento di 150.000 euro. Il giudice Lilia Papoff ha condannato il Ministero della Salute a risarcire un uomo di 75 anni di Cisterna di Latina. Si tratta dell’ennesimo provvedimento del genere, tra le decine che ogni settimana vengono adottate nei Tribunali di tutta Italia.
L’uomo – assistito dall’avvocato Renato Mattarelli – aveva già avviato il ricorso per ottenere l’indennizzo speciale previsto dalla legge 210/1992 (Indennizzi in favore dei soggetti danneggiati dalle trasfusioni di sangue) ottenendo un assegno vitalizio dal 2013.
«La sentenza di oggi costituisce una prova che il sangue trasfusogli a Cori nel 1982 e proveniente dal centro trasfusionale di Latina era infetto con un grado di elevata probabilità , visto per altro, che non sono state rintracciate – dice l’avvocato – la scheda dei donatori del sangue trasfuso la cui esibizione avrebbe potuto dare la prova contraria della bontà e della qualità del sangue somministrato».
Nonostante il test del virus dell’epatite C venne approntato nel 1989, e reso obbligatorio per ogni donazione, la sentenza ha accolto la tesi medico-legale e giuridica – ormai universalmente accettate – secondo cui esistevano già dal 1966 modalità di rilievo indiretto del virus dell’epatite C (prima noto come non A, non B) fra cui l’esclusione dalla donazione di sangue dei donatori con valori enzimatici del fegato elevati, l’obbligo di un test virale detto “di superficie” e l’obbligo di sottoposizione al calore umido e secco del plasma e degli emoderivati.
«Ãˆ chiaro che se tutto ciò fosse stato effettivamente fatto e controllato dai sanitari di Cori all’epoca della trasfusioni del 1982, l’uomo non sarebbe stato infettato quando aveva solo 40anni».